domenica 23 dicembre 2012

Cara mamma

"Cara mamma, vorrei che tu finissi di scrivere la storia della nostra famiglia, almeno fino a quando siamo nate noi due. Ti prometto che poi la trascrivo io, la impagino e ne faccio soltanto 5 copie, in maniera che ogni componente della famiglia ne abbia una. Non la leggerà nessun altro. Promesso."
"Mi fa fatica ricordare certe cose… sono arrivata al 1926, basta così."
"Al 1926?!? Ma che senso ha? Io sono nata nel 1961. Arriva almeno a quell'anno! Perpiacere!"
Lei è irremovibile e io davanti alla sua testardaggine, mi arrendo e almeno per un po' smetto di tormentarla.
Nel frattempo, un'altra mamma, quella di un mio caro amico, mi interpella perché suo figlio gli ha chiesto la stessa cosa e lei ha messo insieme quella che in seguito intitoleremo, appunto La storia che mi hai chiesto.
Non me lo faccio dire due volte. Mi presto con gioia per realizzare questo dono, felice di poter mettere a servizio della memoria la mia professionalità e, soprattutto, la mia passione per le storie vere e i progetti concreti. Divento una sarta specializzata in abiti su misura. Leggo il suo manoscritto e non mi viene voglia di cambiare pressocché nulla, perché penso al mio amico che la  leggerà e desidero che in quelle pagine messe insieme con cura, oltre alla storia della sua famiglia rimanga intatta la sua mamma. Voglio che le sue parole scritte conservino la sua voce, il suo modo di parlare, i suoi gesti, la sua personalità. Lei perdipù ha inframmezzato la sua storia con le ricette di famiglia. E io, che tante volte ho mangiato le specialità della loro casa, penso ai nipoti, oggi ancora troppo piccoli per mettersi ai fornelli, che un domani potranno gustarsi e tramandare a loro volta quelle prelibatezze. Meraviglia!
L'altro giorno invece è arrivato in ufficio un signore, non più giovane, che mi ha detto "Vorrei capire meglio cos'è questa storia di STELLE. Che cosa chiedete?"
Io gli ho spiegato cos'è la collana STELLE, calcando bene la mano sul fatto che le STELLE non vanno in libreria, non sono libri commerciali (magari un giorno lo diventaranno), ma si tratta di libri fatti per raccontare qualcosa che ci è caro a chi ci è caro. Uno scrive, viene da me, io confeziono un libro, curando la parte grafica e quella redazionale et voilà, l'interessato mi dice quante copie ne vuole e io procedo con la stampa. Quando i libri – come fossero un panettone gastronomico – arrivano io telefono e la persona viene e se  li porta via, insieme a un cd contenente tutti i documenti, compreso il file di stampa.
La persona in questione mi ha risposto: "Ma per fare un libro bisogna saper scrivere!"
Io a lui gli ho detto così "Per questo ci sono io o i miei collaboratori, possiamo addirittura scriverlo noi in base a un'intervista o degli appunti… ma fare una STELLA non è una questione di stile, è una questione di cuore".
Ed è proprio questo il punto chiave, quello che fa la differnza fra gli "altri" libri.
Allora, mamma, tu che di cuore ne hai tantissimo, ti prego vai avanti, supera il 1926 e scrivi la nostra storia (tanto più che hai anche stile!).


mercoledì 21 novembre 2012

Parliamone

Ieri notte ho inziato a scrivere un post che speravo di finire oggi e di pubblicarlo, ma visti gli ultimi accadimenti in Israele e a Gaza e come vengono riportati dai media e dibattuti dal pubblico, sento l'urgenza di scriverne un altro, riportando semplicemente il significato di alcune parole.
Le definizioni le riprendo pari pari dal dizionario della lingua italliana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli:
Guerra: 1. Lotta armata fra stati o coalizioni per la risoluzione di una controversia internazionale più o meno motivata da veri o presunti (ma in ogni caso parziali) conflitti ideologici ed economici non ammessa dalla coscienza giuridica moderna: dichiarare la g., muover g., entrare in g.; arte della g.: il complesso delle discipline e delle tecniche relative alla condotta e alla esecuzione delle operazioni militari; legge di g., il complesso delle norme speciali vigenti in relazione allo stato di belligeranza. 2. estens. Contrasto fra Stati, derivante da conflitti ideologici, politici, econominici. 3.  fig. Lotta a fondo in nome di un ideale sociale o religioso.
Terrorismo: 1. Il governo del Terrore in Francia; estens. ogni metodo di governo fondato sul terrore. 2. Metodo di lotta politica, basato su violenze intimidatorie (uccisioni, sabotaggi, attentati dinamitardi, ecc.) impiegato da gruppi clandestini rivoluzionari.
Terrore: 1. Senso intenso e sconvolgente di paura o di sgomento 2. Persona o cosa che incute terrore 3. Metodo crudele di esercitare l'autorità.
Attentato: Atto violento contro l'incolumità o l'integrità di persone o cose.
Attacco: 3. Assalto con forze militari, azione offensiva contro il nemico.
Difesa: 1. Protezione o salvaguardia diretta a respingere offese o annulare i dannosi effetti di condizioni e situazioni più o meno svantaggiose o pericolose
Autobus: Autoveicolo attrezzato per il trasporto collettivo di persone su percorsi urbani e suburbani.

venerdì 16 novembre 2012

I gatti hanno sette vite

Quante ne hanno gli uomini?
Non lo so. Quello che so è che di certo io ne ho vissute già diverse. Una vera fortuna. C'è chi non si rende nemmeno conto di viverne una!
Il mio osteopata una volta mi disse che nel passato (ma quanto passato?) sono stata un guerriero crudele e sanguinario. Ora non so se l'osteopata era in comunicazione con l'aldilà mentre mi premeva una gamba contro un orecchio oppure se avesse voglia di prendermi giro, sta di fatto che io l'ho bevuta, e ho archiviato l'informazione. Il bello è che quando mi fece cotanta dichiarazione io ero già sicura di star vivendo una seconda vita rispetto a una prima, che era durata 25 anni e si era chiusa un pomeriggio, in via Pirandello, quando una dottoressa (vorrei darle un aggettivo ma non me ne viene uno solo che renda bene l'idea di cosa penso di lei), dopo avermi visitato, mi disse: "Devi andare di corsa a farti vedere all'Istituto dei Tumori". "Altrimenti?", le chiesi io. "Muori", mi rispose lei.
Non ricordo se poco prima o poco dopo questa ferale notizia ero stata allo Stadio San Siro a vedere e ascoltare DAVID BOWIE. Mi ricordo però che David era calato fra noi dall'alto, come un angelo e questo per me rimane un ricordo emblematico della cesura fra la mia prima e seconda vita. Quest'ultima ebbe inizio a 27 anni e pochi mesi ed è segnata dall'incontro con un fiorentino purosangue, proprietario di un pulmino Volkswagen senza parabrezza da lui battezzato Nosferatu, senza il quale, forse, non avrei mai avuto l'occasione di intraprendere un cammino costellato di C aspirate e di camicie a pois, durato 11 anni.
Undici anni però non sono la misura della seconda vita, no, lei è durata di più. Ero arrivata – un po' piegata, lo confesso, ma fedele a me stessa e al mio caparbio modo di scorazzare in questo mondo – alla soglia dei magici Fifties, quando, uscendo dal tubo in cui ti infilano quando ti fanno la RMN, un tesoro (di nome e di fatto) d'uomo mi ha detto: "Vestiti e poi vieni nel mio studio". Questa volta non calò dal cielo David Bowie, ma mi prese la mano Wanda, che mi aspettava fuori, con uno sguardo che ancora oggi, a ripensarci, mi strugge. Wanda fu presto raggiunta dalle mie due fidatissime moschettiere: Obi e la Caposala. Formammo un quartetto che, a guardarlo a ritroso era a dir poco assurdo. Io, fumando, svettavo in altezza su Wanda, Obi e la Caposala anche se eravamo tutte sedute sui gradini dell'ingresso bellissimo, in perfetto stile liberty, a discutere il da farsi. Credo che fossimo terrorizzate, ma nessuna lo dava a vedere. Forse non ci volevamo credere. Prendemmo l'unica decisione importante e immediata da prendere: andare insieme dalla Grande Madre a comunicarle il fattaccio. Ci aspettavamo la tempesta, fiumi di lacrime e di disperazionne. Invece, a piangere fu mio padre. Fu un pianto silenzioso, discreto e tristissimo. La mamma reagì con un "Me lo aspettavo", e sono sicura che non sarebbe andata così se non fossimo state tutte lì, a proteggerla nel dolore che una mamma deve provare sapendo che ha un figlio molto malato. Non so come, finimmo la serata bevendo un aperitivo con i nostri uomini e con un amico speciale, che da dietro un  enorme mazzo di fiori prese da parte il mio neofidanzatone e gli sussurrò: "Non ti preoccupare, basta poco e guarisce". Poi mi diede i fiori e un bacio. Fu l'inizio del viaggio su Papalla e la fine della seconda vita.
Sono tornata da Papalla non da molto. Sono ancora stralunata, ma so che ho iniziato a vivere la mia terza vita (senza considerare quella vissuta da guerriero sanguinario!). Quante ne avrò da vivere ancora? E se fossi un gatto piuttosto che un antico e cattivissimo guerriero?

mercoledì 14 novembre 2012

Omaggio a Obi

È impensabile iniziare questo reportage parolistico senza un pensiero per la mia  supporter e coach e regina del mio cuore.
C'è chi la chiama Robin Hood, c'è chi la chiama Pia, c'è chi la chiama mamma, c'è chi la chiama signora, chissà forse qualcuna la chiama anche per il suo nome per esteso, Maria Pia, ma credo siano solo gli impiegati del comune quando va a rinnovare i documenti… Un paio di anni fa lei per me si è ribattezzata Obi e me mi ha chiamato principessa.
Ma non mi ha soltanto chiamato principessa. Mi ha anche trattato protetto e amato come una principessa. Mi ha fatto ridere, mi ha dato coraggio, mi ha dato oltre a una mano anche le sue gambe, il suo tempo, i suoi spazi. Si è perfino tagliata la chioma corta corta per adeguarsi alla principessa, ma non ha perso ne charme né forza, anzi ha preso ulteriore vigore e acquisito fan.
Insieme abbiamo giocato e ci siamo battute per risolvere "Incroci obbligati" e "Parole senza schema", cercando di tener sveglie le menti e di sopire i pensieri.
Insieme abbiamo fatto tutto ma non abbiamo mai fatto una cosa: pianto. Quando io, la principessa ero triste, tu Obi eri ferma, positiva e allegra. Ti ho vista piangere soltanto una volta: quando ci hanno comunicato che la guerra era finita.
E ora, Obi, scusami, ma nonostante "Starwords" non trovo le parole per dire qualcosa di più di grazie e continuare a chiamarti Obi.

Passeggiando con Baldo



Baldo è il mio cagnolino. Ed è quello nella foto. Lo scambiano tutti per un cucciolo, in più è proprio carino, è molto socievole e allegro, perciò, quando sono fuori con lui tutti mi fermano e io vedo e sento un sacco di persone e di storie.
Baldo è il mio quinto cane, dunque è una vita che vado a spasso con cani e ormai so bene quanto un cane, di qualsiasi modello esso sia, faciliti gli approcci, i racconti, le confidenze.
In 40 anni di passeggiate di incontri ne ho fatti a iosa. Alcuni particolarissimi, incredibili e utili, altri, purtroppo, anche fastidiosi e invasivi. Tirando le somme però posso dire che la mia vita non sarebbe la stessa se non passeggiassi almeno tre volte al giorno con il mio cane del momento.
Baldo per questo tipo di esperienza "comunicativa" ha indubbiamente una marcia in più. Lui è un rubacuori o un rubasorrisi. Cioè: è impossibile uscire con Baldo e tornare a casa senza aver scambiato almeno due parole con un umano.
I suoi estimatori non appartengono a una categoria specifica. Piace ai bambini perché è bianco e piccolino, piace agli anziani perché fa tenerezza, piace agli adulti perché è davvero "carino", piace ai ragazzi. E sono proprio loro che mi stupiscono di più quando li vedo inginocchiarsi per incontrare lo sguardo struggente del "nano bianco" o si distraggono dalla loro attività del momento – bacio,  tiro di canna, sorsata di birra, lettura fuggevole di un libro di scuola, telefonata, messaggiata, facebookata, ipodata per esclamare "Che carino, guarda questo cagnolino, ma che bellino!" È l'inizio del festival dell'"INO": i toni si abbassano, le voci si addolciscono, le ragazze addirittura gorgheggiano… e io, io mi meraviglio dell'effetto Baldo su questi giovani di città di oggi, che mi paiono così vecchi uguali e superficiali da un lato, così soli e disincantati dall'altro…
Mah! Comunque sia, il mio cuore li fotografa e sorride perché intuisco il loro bisogno di dolcezza, di tenerezza e spensieratezza, tutte qualità che il nanetto possiede e risveglia in chi lo incrocia.

Un giorno per l'appunto ero ai giardini. Era fine estate, ora pranzo. Non un'anima in giro, se non una banda di teppisti che, avendo scavalcato il recinto di un gettonatissimo "salterello" (tappeto elastico pro piroette), stava esibendosi in numeri circensi con tanto di scarpe enormi e lerce sui tappeti dove, qualche ora dopo, avrebbero spalmato la faccia orde di bambini entusiasti di provare a volare ribaltandosi. Baldo si avvicina al salterello. Loro si fermano per guardarlo poi vedono me al seguito e sputano. Io, che non mi faccio mai gli affari miei per un sacco di personalissimi e giustificati buoni motivi, guardo loro e, senza pensare alle varie e possibili conseguenze, dico ignorando lo sputo, che mi innervosisce sopra ogni dire: "Raga, almeno toglietevi le scarpe che poi arrivano i bambini (il regolamento obbliga a levarsi le scarpe)!". Baldo stranamente si gira e scodinzolando li osserva con il capo piegato di lato. Io penso: "Ora uno esce mi mena e rapisce Baldo". Invece, il capoccia, il più grosso e forse più vecchio, ordina ai suoi compari STRABILIATI: "Ragazzi, la signora con il cagnolino ha ragione, togliamoci le scarpe", poi si gira verso di me e mi dice "Va bene così?". Io che tra un po' svengo, sorrido davvero e rispondo "Perfetto.". Anche Baldo è contento e riprende, naso a terra, a leggere tutti i messaggi che i suoi simili gli hanno lasciato sul prato.